“Ognuno deve fare qualcosa. La nostra vita personale dipende anche da chi scegliamo per prendere il caffè”. Si è conclusa con queste parole la presentazione (tenutasi al centro culturale “Aldo Moro”) di La voce di Impastato, il libro del giornalista Ivan Vadori e del fotoreporter Elia Falaschi.
Appuntamento culturale non casuale quello di ieri: Peppino Impastato fu assassinato a 30 anni dalla mafia nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 a Cinisi (Palermo). I due autori, dopo il saluto del sindaco Tiziana Magnacca (andata via per altri impegni), intervistati dal giornalista Pino Cavuoti, hanno raccontato le tappe, gli incontri e i momenti significativi che hanno portato alla pubblicazione del libro nato da un lungo tour in Sicilia iniziato nel 2006; un’avventura partita con Giovanni Impastato, fratello di Peppino, nella sua Cinisi.
[ant_dx]Cosa ne è venuto fuori? Un viaggio che, partendo dalla vicenda di Impastato (riportata alla ribalta in Italia dal film-simbolo I 100 passi) che pervade tutta l’opera impreziosita dagli scatti di Falaschi, racconta la mafia e le vicende a essa legate lungo tutta la penisola (tra queste la strage di Alcamo Marina sconosciuta ai più) attraverso testimonianze e interviste. Il filo conduttore non è solo la mafia, ma, in gran parte dei casi, anche la parola “depistaggio”: “Termine sconosciuto fino a qualche tempo fa in altre lingue, un’invenzione italiana”, ha detto Vadori. Impastato d’altronde è una delle vittime più illustri del tentativo di portare le indagini su altri binari: fu dilaniato dal tritolo su un tratto di ferrovia in territorio di Cinisi e le “indagini” parlarono inizialmente di suicidio e di attentato contro la ferrovia finito male.
La verità, ovviamente, era un’altra: a decretarne la morte fu il boss locale Tano Badalamenti, Peppino doveva pagare non solo per le sue denunce contro i clan locali ma anche per la pungente ironia usata contro gli amici degli amici nelle sue trasmissioni su Radio Aut: “La mafia odia essere messa in ridicolo”. Peppino, con padre affiliato al clan locale, comunista da sempre, fuse il suo impegno contro la mafia con l’attivismo politico. Si candidò nelle liste di Democrazia Proletaria, ma venne ucciso prima della tornata elettorale. Alle urne fu votato lo stesso ed eletto simbolicamente in consiglio comunale.
La voce di Impastato non è solo narrazione, vuole essere anche un invito al riscatto della comunità, “Ognuno deve dire anch’io posso far qualcosa nel mio piccolo. Gli italiani onesti sono molto di più dei meno onesti, ma spesso si sentono di meno. Peppino è stato il primo a dire ‘Mafia e politica parlano tra loro’. La mafia non si combatte con le pistole, ma con la cultura”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore alla Cultura di San Salvo, Maria Travaglini, “Impastato ha trasformato il No alla mafia in Noi“.
Ottima la risposta del pubblico presente in buon numero. L’evento – arricchito dalle letture di alcuni passaggi del volume di Emanuela Tascone, Raffaella Zaccagna, Pierluigi Turchi e Pietro Fortunato – si è concluso con la consegna da parte dell’assessore agli autori delle copie del volume sulla storia di San Salvo di Giovannino Artese.